Dai sintomi alle cure, un viaggio nell’artrosi dell’anca

Dai sintomi alle cure, un viaggio nell’artrosi dell’anca

Sintomi, diagnosi, terapia e protesi: il dottor Pierantonio Gardelin, ortopedico, percorre punto per punto le informazioni da sapere in caso di artrosi dell’anca.

L’artrosi dell’anca è una patologia causata dalla degenerazione della cartilagine dell’articolazione. Nelle fasi iniziali, può manifestarsi con dolore e rigidità del movimento più o meno intenso. Con l’avanzare della malattia artrosica, la limitazione dei movimenti puó essere tale da impedire al paziente di camminare, allacciarsi le scarpe, salire le scale, compiere qualunque gesto quotidiano che prima sembrava scontato.

Artrosi: attenti a quel dolore

«Molti credono che il dolore da artrosi si avverta a livello gluteo – dice l’esperto -. Ma se il dolore è avvertito a livello dei glutei, è piú probabile che si tratti di un problema legato alla colonna vertebrale, come la lombalgia. Invece, il segno tipico dell’artrosi è la comparsa di dolore a livello inguinale. Un dolore quindi da non sottovalutare. Pertanto, in presenza dei primi sintomi, è importante rivolgersi a uno specialista per una valutazione».

Artrosi: ecco cosa sapere sulla visita ortopedica


In genere, il paziente viene fatto sdraiare per valutare un’eventuale dismetria, ovvero una differenza nella lunghezza delle gambe, e per poter esercitare una flessione passiva a livello dell’anca al fine di valutare se il paziente avverte dolore durante il movimento di rotazione dell’anca. «Per avere una certezza diagnostica – prosegue il dottor Gardelin – in genere vengono prescritte indagini con Rx. Se c’è conferma di artrosi iniziale, la prima fase della
cura potrebbe prevedere il trattamento conservativo».

Artrosi anca: la terapia si adegua alla fase della malattia

Al momento, il trattamento conservativo che ha dimostrato maggiore efficacia prevede infiltrazioni con le cellule mesenchimali. «Questo particolare tipo di cellule staminali viene prelevato, in anestesia locale, dal grasso addominale o dai fianchi del paziente – spiega il dottor Gardelin -. Le cellule adipose, cioè le cellule del grasso, dopo essere filtrate e purificate, vengono raccolte in una speciale siringa e poi iniettate a livello dell’articolazione dell’anca del paziente stesso. Preferisco praticare l’iniezione nella parte anteriore dell’anca, aiutandomi con un Ecografo che segnala esattamente dove praticare l’iniezione. Per poter beneficiar della terapia con cellule mesenchimali è necessario che vi sia cartilagine residua sulle componenti ossee dell’articolazione. Infatti, la terapia con le cellule mesenchimali non rigenera la cartilagine che non c’è, ma fa in modo che quella rimasta integra si possa conservare negli anni. Dopo circa 6-12 mesi dal trattamento, il paziente sarà in grado di avvertire un netto miglioramento e riuscire a tornare ad una vita più attiva. Tuttavia, se l’articolazione dell’anca è estremamente usurata i benefici sono limitati, pertanto si può discutere col paziente l’eventuale soluzione con l’intervento di protesi».

Artrosi di anca e protesi: una decisione da prendere insieme

«Quando l’artrosi è così avanzata da essere invalidante per il paziente – continua l’ortopedico -, la protesi è la soluzione definitiva. La decisione di ricorrere alla protesi d’anca viene presa insieme, paziente e ortopedico, cercando di capire quali sono le esigenze e le
aspettative della persona, cercando di rendere consapevole il paziente del fatto che se sceglie di non essere operato si troverà a vivere con una limitazione sempre maggiore dei suoi movimenti, e che probabilmente, nel tempo, non sarà più in grado di essere indipendente nella propria vita quotidiana. Al giorno d’oggi – sottolinea il dottor Pierantonio Gardelin – grazie alla ricerca e alla continua innovazione, le protesi sono piú anatomiche, più
leggere, e più resistenti. Intervento e protesi, inoltre, si adattano alle richieste funzionali del paziente. Esiste un tipo di protesi particolare per esempio, chiamata protesi di rivestimento,
che invece di tagliare e sostituire la testa del femore, la ricopre con una coppa di metallo estremamente resistente e duraturo adatta a un paziente giovane e sportivo, a chi pratica sport di contatto, a chi gioca a livelli agonistici, come il campione mondiale di tennis, Andy
Murray, per esempio, che è riuscito a tornare in campo proprio grazie a questo tipo di protesi». Anche le tecniche chirurgiche sono cambiate negli anni.

Artrosi di anca: la chirurgia diventa mininvasiva

«Molti credono che parlare di chirurgia mininvasiva significhi avere una cicatrice corta – spiega l’ortopedico -. Approccio mininvasivo, invece, significa ridurre le perdite di sangue durante l’intervento e permettere quindi al paziente di essere più in forze per il recupero; significa meno dolore post-operatorio, perchè siamo in grado di mantenere intatti ossa, muscoli e tendini dell’articolazione, permettendo così al paziente di avere una maggiore forza muscolare durante la riabilitazione e il recupero funzionale dopo l’intervento. L’intervento di impianto di protesi d’anca dura circa 40-45 minuti e puó essere svolto in
anestesia spinale o totale. Proprio per le caratteristiche della chirurgia mininvasiva, giá il primo giorno dopo l’intervento, il paziente puó riprendere a camminare, inizialmente con le
stampelle, poi da solo».

Intervento per artrosi di anca: riabilitazione prima e dopo l’impianto di protesi

«La riabilitazione – aggiunge il dottor Gardelin – in genere inizia nel periodo che precede l’intervento. Infatti, se la muscolatura è forte al momento dell’intervento, il recupero post-operatorio sará piú rapido e il paziente potrá iniziare a camminare senza l’ausilio delle
stampelle giá dopo una settimana dall’operazione, a meno che preferisca continuare ad utilizzarle per uno o due mesi successivi, se desidera sentirsi piú stabile e sicuro».

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